Avvocato Daiana Chiappa - Family Law

Avvocato di Famiglia a Bergamo

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Bergamo, Via Fratelli Calvi 10E

BERGAMO LEGAL

Bergamo Legal Società tra Avvocati s.r.l.

Bergamo - Milano

Avv. Matteo Bertocchi

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Avv. Daiana Chiappa

Avv. Daiana Chiappa

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Responsabile

Avv. Daiana Chiappa

L’Avv. Daiana Chiappa, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Bergamo, si occupa prevalentemente di Diritto Civile, della Famiglia e delle Assicurazioni.

Assistenza Legale - Diritto di Famiglia

Il diritto di famiglia è una branca del diritto privato che disciplina i rapporti familiari in genere: parentela e affinità, matrimonio, i rapporti personali fra i coniugi, i rapporti patrimoniali nella famiglia, la filiazione, i rapporti fra genitori e figli, la separazione personale dei coniugi ed il divorzio.

La disciplina fondamentale è contenuta nel codice civile italiano, che dedica alla famiglia il primo libro, intitolato “Delle persone e della famiglia”, Titoli V, VI, VII, VIII, IX, IX-bis, X, XI, XII, XIII, XIV.

La maggior parte degli articoli che lo compongono hanno oggi (in seguito a numerose modifiche) un contenuto profondamente diverso da quello che avevano nel testo originario del 1942. La vera e propria “riforma del diritto di famiglia” è stata apportata dalla legge n. 151/1975, ma la materia, nel corso degli anni, subì altre modifiche: la legge n. 431/1967 integrò le norme del codice in tema di adozione e affido, che successivamente vennero riformati con la legge n. 184/1983 e con la legge 149/2001; nel 1970 venne introdotto il divorzio (legge n. 898/1970), la cui disciplina venne modificata nel 1987 (legge n. 74/1987); con la legge n. 121/1985 (legge che rese esecutivo l’accordo del 1984 che modificò il Concordato del 1929) venne modificata la disciplina del matrimonio concordatario; la legge n. 40/2004 regolamentò la procreazione assistita; la legge n. 54/2006, la cosiddetta legge sull’affidamento condiviso rivoluziona l’assetto dei rapporti genitori-figli così come disciplinato dal codice civile.

  • Separazione e Divorzio

  • Modifica delle Condizioni di Separazione o Divorzio

  • Ricorso per il mantenimento della Prole

  • Affidamento e Collocamento dei Figli

  • Scioglimento della Coppia di Fatto

  • Scioglimenti dell'Unione Civile

  • Amministrazione di Sostegno

  • Ricorso al Giudice Tutelare

  • Rapporti patrimoniali tra Coniugi

  • Impresa Familiare

  • Patto di Famiglia

Separazione e Divorzio

Questa particolare branca del diritto si interessa anche della famiglia in senso stretto, intesa come nucleo familiare, composto dai coniugi e dai loro figli, stabilisce quali sono i reciproci diritti e doveri tra i membri della famiglia e disciplina compiutamente i rapporti familiari nel momento patologico (ed eventuale) della separazione e del divorzio.

In questa fase di grande conflittualità, ove ciascun coniuge, almeno nella maggior parte dei casi, non riesce a mantenersi lucido e sereno, si inserisce (o si può inserire) il lavoro dell’avvocato, che ha il compito di illustrare chiaramente al cliente, in procinto di separarsi, quali diritti e doveri egli abbia nei confronti dell’altro coniuge e dei figli, e di assisterlo sia nella fase pre giudiziale che in quella giudiziale vera e propria. La crisi della coppia non sempre sfocia in una separazione giudiziale, che è quella più lunga e tormentata, in quanto è possibile per i coniugi, con l’aiuto e l’assistenza tecnica di un legale, concordare direttamente le condizioni della separazione consensuale, dall’affidamento dei figli all’assegno per il mantenimento (del coniuge e dei figli); in questo modo, i coniugi evitano le lungaggini di un giudizio lungo e stressante e arrivano in tempi brevi alla separazione.

Dopo la separazione i coniugi possono chiedere il divorzio (ovvero, utilizzando la terminologia più appropriata la cessazione degli effetti civili del matrimonio / lo scioglimento del matrimonio).

Ma il diritto di famiglia si occupa anche della tutela dei minori in generale, compresi anche i figli naturali, ossia i figli nati da genitori non coniugati.

Quando all’interno della famiglia, sia essa legittima o di fatto sorgono determinate problematiche, che possono portare ad esempio alla necessità o opportunità di imporre limitazioni o restrizioni alla potestà di uno o di entrambi i genitori, interviene un organo giurisdizionale particolare, il Tribunale dei Minori, competente peraltro anche per la materia delle adozioni.

Per quanto concerne poi l’affidamento ed il mantenimento dei figli naturali, ovvero i figli nati da genitori non coniugati, la Corte di Cassazione ha introdotto nel 2007 una significativa innovazione prevedendo un unico giudice per tutte.

Separazione senza addebito

Hai bisogno di un Avvocato per una separazione senza addebito? Noi possiamo aiutarti.

Che cos’è la separazione senza addebito?

La Legge Italiana consente ai coniugi di separarsi allorquando “la prosecuzione della convivenza sia divenuta intollerabile“.

Non è necessario che vi siano episodi specifici di violazione dei doveri matrimoniali.
Non è necessario accusare l’altro coniuge di aver provocato la fine del matrimonio.

E’ possibile concludere una relazione deteriorata (dal tempo, dalle incomprensioni, dalle insormontabili differenze) senza necessariamente dover accusare pubblicamente il coniuge di comportamenti incompatibili con il matrimonio.

Separazione consensuale

Effettuare la separazione in maniera consensuale risparmierà a te ed al tuo futuro ex-coniuge tempo, danaro e sofferenza.

In media, in Italia, l’80% delle separazioni è consensuale.

Se tu ex il tuo futuro ex-coniuge riuscite a concordare alcune condizioni essenziali, potete effettuare la separazione in modo consensuale.

Che cos’è la separazione consensuale?

Consensuale significa semplicemente realizzata con il consenso di entrambi i coniugi.
Solitamente le questioni su cui si discute per la separazione sono:

  • se entrambi i coniugi vogliono separarsi

  • le ragioni della separazione (ad es.: infedeltà, abbandono, maltrattamenti, ecc…)

  • la divisione dei beni comuni

  • affidamento, collocamento e mantenimento dei figli

  • l’eventuale mantenimento in favore di uno dei coniugi

Quali sono i vantaggi di una separazione consensuale?

I vantaggi sono innumerevoli. Come studio, se rileviamo la possibilità di consensualizzare la separazione, ci adoperiamo per favorirla in ogni modo.

Purtroppo entrambi i coniugi devono concordare sulle condizioni, quindi non sempre è possibile una separazione consensuale.

Se i coniugi riescono ad accordarsi sulle questioni di cui sopra, possono effettuare una separazione consensuale e risparmiare:

  • migliaia di Euro (tali possono essere i costi di una separazione giudiziale)

  • tempo (una separazione giudiziale spesso richiede alcuni anni)

  • sofferenza (la separazione giudiziale spesso è fonte di stress e sofferenza per tutto il nucleo familiare)

Spesso le coppie non sanno inizialmente se riusciranno a trovare un accordo su tutte le questioni da disciplinare ma dopo aver valutato attentamente le possibilità, decidono che è nel reciproco miglior interesse procedere con una separazione consensuale.

Separazione consensuale con figli

Avere figli complica la separazione consensuale?

La separazione consensuale è di per sé processualmente semplice.
Il problema principale è quello di raggiungere un accordo tra i coniugi.

La presenza di figli, aumentando le questioni da disciplinare, ovviamente complica le cose…

Il Tribunale, quando sono coinvolti minori, esamina più approfonditamente le condizioni, per assicurarsi che i diritti dei figli siano rispettati e il loro interesse sia posto in primo piano.

Mantenimento della prole

E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli.

Anche a seguito della separazione entrambi i genitori devono continuare ad assicurare il mantenimento dei figli.

Vi sono delle prassi giurisprudenziali circa l’importo del mantenimento e le spese straordinarie.

Affidamento e collocamento dei figli

Oltre alla questione del mantenimento, vi sono anche le decisione circa l’affidamento, il collocamento ed il c.d. “diritto di visita” che devono essere equilibrate per consentire l’accoglimento di un ricorso consensuale per la separazione.

L’affidamento è diverso dal collocamento.

L’affidamento riguarda il potere-dovere di prendere decisioni nell’interesse della prole relativamente a questioni fondamentali (religione, educazione, questioni mediche, ecc…).

Il collocamento riguarda la residenza principale dei minori.

Il c.d. “diritto di visita“

Circa il diritto di visita, ossia i giorni e gli orari in cui i figli staranno con il genitore presso il quale non sono collocati abitualmente, vi è la possibilità di formalizzare un calendario rigoroso per garantire l’alternanza o prevedere un ampio diritto di visita (ad es.: “il genitore non collocatario potrà vedere e tenere con sé i figli ragionevolmente ogniqualvolta lo vorrà previo avviso”).

Se da un lato ciò consente una grande flessibilità, dall’altro può provocare ulteriori dissidi e, nei casi peggiori, ulteriore contenzioso, a seconda del grado di tensione dei rapporti tra coniugi.

Come visto, ci sono quindi una serie di questioni che devono essere disciplinate avendo riguardo al caso concreto, sempre nell’ottica del miglio interesse dei figli.

Separazione giudiziale

Se una separazione consensuale è preferibile ad una non consensuale, sfortunatamente non è sempre possibile.

Una separazione giudiziale risulta semplicemente da una delle seguenti circostanze:

L’altro coniuge non vuole separarsi

Se l’altro coniuge rifiuta di cooperare perché non vuole separarsi, possiamo comunque fornire assistenza per ottenere la separazione.

La circostanza influisce sulla procedura da adottare, ma il semplice rifiuto non comporta l’impossibilità di ottenere la pronuncia della separazione.

L’altro coniuge potrebbe semplicemente volerti complicare la vita o avere particolari remore di carattere religioso o semplicemente avere difficoltà ad affrontare lo scioglimento della coppia.

In ogni caso, è sempre possibile ottenere la separazione.

La nostra prima azione, una volta accertata la mancata collaborazione dell’altro coniuge, sarà quella di redigere e depositare in Tribunale un ricorso per la separazione.

Non appena il Giudice fisserà la data dell’udienza, provvederemo poi alla notifica all’altro coniuge.

Se l’altro coniuge si costituirà nel giudizio o ci contatterà, potremo comunque impostare delle trattative finalizzate alla consensualizzazione della separazione.

Diversamente o qualora le trattative non abbiano esito, nel corso della prima udienza il Presidente del Tribunale adotterà i provvedimenti provvisori ed urgenti necessari; dopodiché il giudizio proseguirò davanti al Giudice Istruttore.

Non è nota la capacità reddituale e lo stato patrimoniale dell’altro coniuge

In questo caso, per poter offrire consulenza mirata in ordine ai diritti patrimoniali derivanti dalla separazione, potrebbe essere necessario effettuare ricerche, eventualmente coinvolgendo un servizio di investigazioni.

Non è possibile raggiungere un accordo

Purtroppo non sempre possibile, per le parti, raggiungere un accordo sulle condizioni di separazione.

Le questioni rilevanti che devono essere disciplinate sono:

  • addebito della separazione

  • mantenimento per il coniuge

  • affidamento dei figli

  • collocamento dei figli

  • diritto di visita

  • mantenimento dei figli

  • spese straordinarie

  • assegnazione della casa familiare

  • divisione dei beni comuni

Indipendentemente dalla ragione per cui è necessario fare ricorso alla separazione giudiziale, il nostro studio è in grado di offrire servizi professionali su misura per massimizzare le possibilità di ottenere l’esito sperato.

Scioglimento della coppia di fatto

I dati ISTAT degli ultimi anni confermano l’aumento di coppie che decidono di optare per una convivenza (ovvero persone che vivono une relazione more uxorio) a discapito delle coppie che, per converso, scelgono di convolare a giuste nozze.

Si ritiene, per la maggior parte degli italiani interpellati sul punto, che la convivenza sia come un matrimonio benchè privo delle formalità e delle conseguenze ad esso legate in caso di scioglimento: è, infatti, errata opinione che ove la convivenza finisce non occorre andare da un legale e avviare una procedura di separazione in quanto è sufficiente che uno dei due lasci la casa e vada a vivere altrove portando con sé i propri beni e i propri effetti personali.

Certamente quando la cessazione della convivenza coinvolge due persone adulte, indipendenti che non hanno stipulato contratti o assunto obbligazioni e/o debiti comuni (solo a titolo esemplificativo (locazioni, mutui, finanziamenti), la separazione può essere rapida e “indolore”.

Viceversa, la questione si complica quando dalla convivenza more uxorio sono nati dei figli: in tal caso occorrerà prendere dei provvedimenti per tutelare i figli con la conseguenza che le parti avranno (almeno come genitori) un legame che durerà in eterno.
Tale esigenza è sorta anche a seguito della importante Legge 219 del 2012 ove, tra le altre cose, si è provveduto ad eliminare ogni differenza tra figli naturali (ovvero quelli nati fuori dal matrimonio) e figli legittimi (nati da coppie coniugate) attribuendo ad entrambi gli stessi diritti e così abbracciando l’assunto secondo il quale i figli sono e restano tali a prescindere da fatto che siano stati concepiti all’interno di un matrimonio oppure nell’ambito di una semplice convivenza.

Come si gestisce la crisi di una coppia non sposata ma con figli minori?

L’ordinamento mette a disposizione della coppia due importanti strumenti, uno di natura stragiudiziale e l’altro di natura giudiziale.

  • La mediazione familiare: estesa dal 2012 ad ogni rapporto familiare, ha lo scopo principale di conciliare le parti. La conciliazione può essere intesa sia come rappacificamento della coppia (con superamento della crisi) sia come supporto alla coppia per intavolare una c.d. “separazione pacifica”. Il mediatore (sia esso terapeuta o legale) riceve la coppia conducendo colloqui separati e congiunti in modo da incentivare il dialogo tra le parti.

  • Il ricorso al Tribunale Ordinario.

La Legge 219/2012 ha introdotto il cd. il “rito partecipativo” per la regolamentazione in giudizio dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle coppie di fatto, conviventi, non sposate. Dopo che il legislatore, nella logica dell’equiparazione dei figli nati da coppie conviventi di fatto a quelli delle coppie sposate, ha spostato la competenza per la materia dal Tribunale per i Minorenni (che oramai ha una competenza residuale) al Tribunale Ordinario (le cui cause vengono trattate dalla Sezione Famiglia), è stato introdotto un procedimento particolare che consente ai genitori alla partecipazione alla formazione del procedimento che regolamenterà i rapporti con i figli.

Il procedimento viene introdotto con ricorso ai sensi degli artt. 316 – 317 bis cod. civ.: segue la desginazione del giudice e l’emissione del decreto di fissazione di udienza con quale si concedono due termini: uno per la parte ricorrente per la notifica del ricorso, ed un altro alla parte resistente per il deposito di una memoria difensiva di costituzione, concedendo sempre ad entrambe le parti il termine per il deposito delle ultime tre dichiarazioni dei redditi.

Il procedimento prevede, quindi, una fase conciliativa innanzi ad un giudice delegato, e solo in caso di fallimento di quest’ultima, una fase contenziosa innanzi al Collegio.

La fase conciliativa o precontenziosa potrebbe, pertanto, concludersi con un accordo dei genitori, che verrà poi recepito dal Collegio, una sorta di omologa, sempre in analogia con quanto avviene nei procedimenti di separazione e divorzio: tale accordo ben potrebbe corrispondere alla proposta del giudice designato oppure in una soluzione totalmente o parzialmente diversa, elaborata dai genitori grazie all’assistenza dei difensori nominati, che certamente possono utilizzare il suggerimento del magistrato al fine di convincere le rispettive parti a confrontarsi sui problemi emersi ed a dialogare come padre e madre.

Se la fase conciliativa non porta a nessuna composizione bonaria, gli atti vengono rimessi al Collegio che provvede alla definizione giudiziale del procedimento, se del caso, previa nuova convocazione dei genitori.

Pacifico che qualora i genitori concordino integralmente sulle condizioni di affidamento e mantenimento, possono presentare al Tribunale ordinario un ricorso congiunto ai sensi dell’art. 316 cod. civ.

E’ chiaro che i figli devono avere la prevalenza su ogni cosa: in questo tipo di ricorso non interessa sapere perché è finita la relazione (se per colpa di un compagno che tradisce o di una compagna che non adempiva ai propri doveri), non interessa regolamentare le questioni economiche tra i coniugi (non v’è la comunione dei beni), non interessa regolamentare la questione della casa (la casa resta al legittimo proprietario indipendentemente da tutto), non interessa sapere se la compagna lavora oppure no (non v’è, invero, un obbligo di assistenza economico verso il compagno o la compagna), in questo procedimento ciò che conta è unicamente la tutela dei figli.

Sono i figli ad aver diritto ad un assegno di mantenimento, sono i figli ad avere diritto di continuare a mantenere il rapporto con il genitore non collocatario, sono i figli ad avere diritto a godere della “unitarietà genitoriale”.

Non si dovrà, pertanto, investigare più di tanto sui motivi che hanno portato alla fine del rapporto (per intenderci sarà importante sapere se una delle due parti sia stata o sia violenta, sia stata o sia dedita all’uso di sostanze stupefacenti, sia stata o sia psicologicamente instabile in quanto questo ci permette di capire se ricorrano o meno i presupposti per un affido esclusivo, ma non sarà importante sapere se una parte ha avuto una relazione “extra convivenza”, con chi e per quanto tempo in considerazione del fatto che, tale risultanza, non incide sulla sua capacità di essere un genitore capace di curare il proprio figlio).

La necessità è dunque quella di tutelare il minore redigendo un accordo o ottenendo una sentenza che stabilisca diritti e doveri di entrambi i genitori nei confronti del figlio:

  • stabilire il tipo di affidamento (se condiviso, paritario o esclusivo);

  • stabilire il collocamento, ovvero la residenza del figlio;

  • stabilire il diritto di visita del genitore non collocatario (calendarizzazione);

  • stabilire il contributo al mantenimento cd. ordinario (oltre alle spese extra come previste dal protocollo di intesa adottato dal Tribunale).

Divorzio congiunto

Il divorzio congiunto è la procedura volta allo scioglimento del matrimonio e si tratta, in buona sostanza, di un procedimento analogo a quello di separazione consensuale: anche in questo caso è necessario il previo accordo dei coniugi per la formalizzazione degli accordi volti a disciplinare la fine del vincolo coniugale (a titolo di esempio non esaustivo: la gestione dei beni comuni, l’assegno divorzile, le visite ai figli, e così via).

Così come per il divorzio giudiziale, la forma prevista per la presentazione della domanda è quella del ricorso, innanzi al Tribunale competente (quello nel luogo di residenza o di domicilio di uno dei due coniugi).

La domanda deve necessariamente includere alcuni elementi essenziali ai fini della validità del ricorso quali i fatti e gli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda di scioglimento del matrimonio / di cessazione dei propri effetti civili (in caso di matrimonio concordatario); l’esistenza di figli di entrambi i coniugi; le condizioni relative ai figli e ai rapporti economici; le ultime dichiarazioni dei redditi di ogni componente della coppia; l’atto di matrimonio, lo stato di famiglia, il certificato di residenza di entrambi i coniugi, la copia autentica del verbale di separazione consensuale o della sentenza di separazione giudiziale e la nota di iscrizione a ruolo.

Una volta presentato il ricorso, i coniugi verranno chiamati a comparire personalmente davanti al giudice per il tentativo di conciliazione.

Il giudice dovrà accertare che la comunione tra le parti non può essere ricostituita o conservata, e che le condizioni stabilite dai coniugi non sono contrarie all’interesse della prole.

Una volta effettuate tali verifiche, e riscontrata l’esistenza degli elementi soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge, il giudice pronuncerà il divorzio con sentenza.

Presupposti per poter pronunciare divorzio congiunto con sentenza non si potrà che verificare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge.

Questi devono essere costituiti dalla presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

  • i coniugi sono separati legalmente da almeno 6 mesi (in caso di separazione consensuale) o da almeno 12 mesi (in caso di separazione giudiziale);

  • uno dei due coniugi è stato condannato per un reato per cui il nostro ordinamento prevede una pena pari all’ergastolo o superiore a 15 anni; in alternativa, per un reato – a prescindere dalla pena – individuati all’art. 3 della legge sul divorzio (ad esempio, tentato omicidio ai danni del coniuge);

  • uno dei due coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio all’estero, o ha contratto un nuovo matrimonio all’estero;

  • il matrimonio non è stato consumato;

  • uno dei due coniugi ha visto passare in giudicato la sentenza di rattifica dell’attribuzione del sesso.

I documenti da allegare sono:

  • estratto integrale dell’atto di matrimonio, da richiedersi presso l’ufficio Stato Civile del Comune di celebrazione del matrimonio;

  • lo Stato di Famiglia di ciascun coniuge, da richiedersi presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza di ciascun coniuge;

  • i certificati di residenza di ciascun coniuge da richiedersi presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza;

  • atto integrale di nascita o estratto di nascita emesso dalla auotirtà italiana o straniera ove i figli sono nati o di altro documento attestante la paternità / maternità;

  • modulo ISTAT aggiornato;

  • la copia autentica del verbale di separazione consensuale con i relativo decreto di omologa, oppure della sentenza di separazione giudiziale con la relativa attestazione che la stessa sia passata in giudicato;

  • le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni di ciascun coniuge;

  • copia dei documenti di identità e dei codici fiscali di ciascun coniuge;

Ricordiamo che ai fini del depisito del ricorso è necxessario depositare un contributo unificato per il procedimento in parola pari ad €. 43,00= (non è prevista alcuna marca da bollo).

Divorziare mediante la negoziazione assistita

Con il Decreto Legge 132 del 2014 si è reso possibile divorziare congiuntamente anche a mezzo dell’istituto della “negoziazione assistita“. La negoziazione assistita non è alto che un mezzo attraverso il quale i coniugi possono raggiungere e perfezionare un accordo. Tale accordo è valido anche in presenza di figli minori. Può essere formalizzato davanti ai rispettivi difensori. L’utilizzo di questo istituto presuppone ovviamente che ci sia un accordo su tutti gli aspetti, anche patrimoniali, riguardanti il divorzio.

Ai coniugi non sarà dunque necessario presenziare ad alcuna udienza e l’avvocato designato si occuperà poi del deposito degli accordi intercorsi presso la Procura della Repubblica (tendenzialmente il nulla osta necessario per il caso in cui vi siano figli non autosufficienti è concesso entro pochi giorni dal deposito).

L’avvocato avrà infine il compito, entro dieci giorni dalla sottoscrizione degli accordi raggiunti, di trasmettere i relativi documenti al competente Ufficio di Stato Civile presso il Comune in cui il matrimonio è stato celebrato al fine di procedere con l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Sono i figli ad aver diritto ad un assegno di mantenimento, sono i figli ad avere diritto di continuare a mantenere il rapporto con il genitore non collocatario, sono i figli ad avere diritto a godere della “unitarietà genitoriale”.

Divorzio giudiziale

Il divorzio giudiziale permette ai coniugi di sciogliere il matrimonio civile e il matrimonio concordatario (ovvero quello celebrato in Chiesa e trascritto nei registri dello stato civile), facendo cessare gli effetti giuridici dati dal matrimonio stesso.

Si parla di procedura giudiziale quando marito e moglie non sono d’accordo sulle condizioni (spesso per questioni economiche e finanziarie, o per i figli, o per l’assegnazione della casa coniugale), oppure solo uno dei due chiede il divorzio, o ancora quando un coniuge risulta irreperibile.

Procedura e tempi:

Il divorzio si introduce – come per il divorzio congiunto – con ricorso da depositare innanzi al Tribunale competente (ed è necessaria l’assistenza obbligatoria di un avvocato).

Il presupposto base è che siano trascorsi 6 mesi dalla data dell’udienza di separazione consensuale o un anno dalla data di separazione giudiziale: infatti una volta decorsi detti termini il coniuge ricorrente potrà depositare la propria domanda, che verrà poi notificata all’altro coniuge ai sensi di legge unitamente al decreto di fissazione di udienza presidenziale per la comparizione personale dei coniugi innanzi al Giudice designato.

Può accadere che nel corso della causa le parti trovino un accordo sulle condizioni dando luogo così ad un divorzio congiunto; altrimenti, si procede secondo le norme del codice di procedura civile.

Alla prima udienza i coniugi, assistiti dai rispettivi avvocati, vengono convocati dal presidente del tribunale: in tale sede costui può prendere quei provvedimenti che risultino necessari e urgenti per la tutela dei figli e del coniuge più debole.

Il procedimento si conclude con una sentenza (trattasi di una sentenza parziale cd. non definitiva che dichiara lo scioglimento del matrimonio e la decisione sulle questioni che non sono oggetto di controversia: tale sentenza, una volta passata in giudicato, consentirà alle parti di ottenere lo stato civile di libero; mnetre le altre questioni procederanno in maniera indipendente).

Il processo, poi, ha durata variabile in ordine al numero di prove presentate, alle testimonianze necessarie e alle indagini da svolgere ed i tempi saranno determinati dalla maggiore o minore conflittualità tra i coniugi; per tale motivo è di fondamentale importanza l’assistenza legale di uno studio qualificato.

Documenti necessari:

  • Atto di matrimonio integrale (non estratto), da richiedersi presso l’ufficio Stato Civile del Comune di celebrazione del matrimonio;

  • Stato di famiglia di ciascun coniuge, da richiedersi presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza di ciascun coniuge;

  • Certificati di residenza di ciascun coniuge da richiedersi presso l’ufficio anagrafe del proprio Comune di residenza;

  • Atto integrale di nascita o estratto di nascita emesso dalla autorità italiana o straniera ove i figli sono nati o di altro documento attestante la paternità / maternità;

  • Modulo ISTAT aggiornato;

  • Copia autentica del verbale di separazione consensuale con il relativo decreto di omologa, oppure della sentenza di separazione giudiziale con la relativa attestazione che la stessa sia passata in giudicato;

  • Dichiarazioni dei redditi (730) degli ultimi tre anni;

  • Copia dei documenti di identità e dei codici fiscali di ciascun coniuge;

In caso di ricorso per divorzio giudiziale sarà necessario depositare un Contributo unificato pari ad €. 98,00 (mentre non va versata la marca da bollo).

Calcolo del mantenimento per i figli

È la Costituzione a prevedere l’obbligo dei genitori (anche non coniugati) di mantenere i figli, per il solo fatto di averli generati, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.

L’obbligo in questione riguarda:

  • sempre i figli minori. In particolare, in caso di separazione o divorzio il giudice adotta i provvedimenti relativi ai figli minori con esclusivo riferimento ai loro interessi materiali e morali, affinché conservino – se possibile – l’ambiente, le abitudini, le consuetudini familiari, non percependo eccessivamente il divario anche economico tra la nuova situazione e quella precedente alla separazione;

  • i figli maggiorenni che non siano economicamente autosufficienti e quelli affetti da handicap grave. Sono validi ed efficaci gli eventuali accordi tra i genitori o tra il genitore obbligato e il figlio maggiorenne che diano atto della raggiunta autonomia economica del figlio.

La modalità classica di mantenimento dei figli minori (o dei maggiorenni non economicamente indipendenti) è quella dell’assegno di mantenimento: essa può essere decisa dalle parti o imposta dal giudice in sede di separazione consensuale o divorzio.

Nell’importo dell’assegno sono comprese le spese ordinarie per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli.

A tal fine, i protocolli dei tribunali in materia di procedimenti di separazione e divorzio invitano gli avvocati a specificare nelle condizioni della separazione e del divorzio alcuni elementi utili proprio per la determinazione dell’importo da corrispondere e per evitare eventuali conflitti in merito, quali sono le spese straordinarie (rispetto al contributo fisso mensile) che i coniugi dovranno corrispondere pro quota, a seconda dei rispettivi redditi, e le modalità del pagamento. A tal proposito, si ricorda che, prima di sostenere alcune spese straordinarie, un genitore è obbligato a consultare l’altro; mentre per altre (ad es. spese mediche urgenti) non è necessario un accordo preventivo, fermo restando il rispetto della reciproca informazione.

Se i figli maggiorenni convivono con un solo genitore, l’assegno di mantenimento a carico del coniuge con il quale non convivono deve essere oggetto di richiesta (diversamente da quanto accade per il caso dei figli minorenni), da parte del:

  • genitore convivente con il figlio. La richiesta è rivolta al giudice ed è diretta nei confronti dell’altro genitore;

  • del figlio maggiore d’età non economicamente indipendente, se non convive con alcuno dei genitori. La richiesta del figlio è fatta al giudice e ha come destinatari uno o entrambi i genitori.

Come si determina l’ammontare dell’assegno?

Abbiamo finora detto che l’assegno di mantenimento per i figli deve essere corrisposto a favore del genitore collocatario (in caso di figli minori) o del genitore convivente (per i figli maggiorenni). Ma quale deve essere l’importo?

Il giudice deve tenere conto, per quantificare un ammontare equo e oggettivo di tale assegno, dei seguenti parametri:

  • le attuali esigenze del figlio (anche sotto il profilo dell’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, dell’assistenza morale e dell’opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione);

  • il tenore di vita goduto dal figlio durante la convivenza con entrambi i genitori: a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito ma, deve valutare anche altri elementi di ordine economico in grado di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio anche mobiliare e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso;

  • i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

  • le risorse economiche di entrambi i genitori, in relazione alla consistenza dei loro patrimoni (i redditi da attività lavorativa, ma più in generale ogni altra forma di reddito o utilità, come il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote di partecipazione sociale, i proventi di qualsiasi natura percepiti);

  • la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (come fare la spesa, cucinare, accompagnare i figli a scuola, provvedere alle faccende domestiche, lavare, stirare, aiutare i figli nello svolgimento dei compiti scolastici). Maggiore è il tempo che il figlio trascorre con un genitore, maggiori sono i compiti di natura domestica.

Per accertare la capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, le dichiarazioni fiscali dei redditi hanno un valore solo indiziario: significa che il giudice ha un ampio potere istruttorio, che gli consente di decidere verificando le condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli.

Se le informazioni economiche fornite non sono sufficientemente documentate, egli può disporre un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

Ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento, si considera anche l’assegnazione della casa familiare: il giudice, quindi, può ridurre l’assegno di mantenimento al coniuge assegnatario della casa, anche quando l’immobile è di proprietà comune dei genitori e anche quando il genitore non assegnatario è titolare di un diritto reale di godimento sull’abitazione (ad esempio, l’usufrutto).

L’importo può cambiare?

L’assegno a favore dei figli è automaticamente adeguato per legge agli indici Istat, a meno che le parti o il giudice non abbiano indicato un diverso parametro in sede di separazione.
Una volta riconosciuto il diritto di percepire l’assegno di mantenimento per i figli e quantificato il suo ammontare, l’assegno può essere oggetto di revisione: significa che può essere aumentato o diminuito oppure può anche essere soppresso.

I motivi che spingono uno dei coniugi a richiedere una sua revisione sono:

  • il cambiamento (in meglio o in peggio) delle capacità economiche,

  • la costituzione di un nuovo nucleo familiare,

  • le accresciute esigenze dei figli: ad esempio, il genitore obbligato prova che i figli maggiorenni iscritti all’università, posti nelle condizioni di raggiungere l’autonomia economica, si sottraggono volontariamente allo studio e allo svolgimento di un’attività lavorativa.

Le modalità della revisione sono due:

  • la procedura giudiziale prevista dalla legge, in presenza di giustificati motivi;

  • l’accordo tra le parti (ad esempio quando il figlio diventa maggiorenne e acquista l’indipendenza economica), concludendo una scrittura privata valida tra di loro.

E in caso di inadempimento o ritardo?

Se il genitore non adempie all’obbligo di mantenimento dei figli non pagando in tutto o in parte l’assegno di mantenimento oppure non pagando le spese straordinarie, può andare incontro alle conseguenze esaminate di seguito:

  • in caso di ritardo, il genitore beneficiario dell’assegno (creditore) può reagire mediante sollecitazioni in forma scritta o messe in mora di regola spedite all’altro genitore mediante lettera raccomandata a/r;

  • se questi mezzi non hanno successo è possibile promuovere un’azione esecutiva: il verbale di separazione, la sentenza di separazione o quella di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili costituiscono, infatti, titoli esecutivi.

Il coniuge interessato, tramite il suo avvocato, può redigere l’atto di precetto con cui intima il debitore di adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non inferiore a 10 giorni con l’avvertimento che se tale adempimento non avviene, si procederà ad esecuzione forzata. Scaduto il termine per adempiere, il coniuge creditore ha 90 giorni di tempo per iniziare l’esecuzione forzata sui beni del debitore, scegliendo la forma espropriativa più opportuna (pignoramento mobiliare, immobiliare o presso terzi).

E’ anche possibile agire in giudizio chiedendo che il tribunale:

  • ordini a un terzo creditore del coniuge obbligato di versare parte della somma dovuta direttamente al genitore beneficiario dell’assegno (per soggetto terzo si intende, ad esempio, il datore di lavoro; l’ente che eroga la pensione; chiunque sia debitore di somme di denaro periodiche nei confronti del genitore obbligato come il conduttore di un immobile o l’onerato di una rendita vitalizia);

  • garantisca l’attuazione del provvedimento, adottando se del caso anche dei provvedimenti sanzionatori.

Se il giudice verifica che vi sono gravi inadempienze relative agli obblighi di natura patrimoniale può adottare una delle seguenti misure:

  • ammonire il genitore inadempiente

  • disporre il risarcimento dei danni:

  • nei confronti del figlio;

  • a carico di uno dei genitori a favore dell’altro;

  • condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della cassa delle ammende.

L’inadempimento può anche far sorgere una responsabilità penale in capo al genitore inadempiente: il genitore che non paga l’assegno di mantenimento, infatti, può essere chiamato a rispondere, a seconda della gravità del fatto, di due reati diversi.

Affidamento e Collocamento dei Figli

Qual è la differenza tra affidamento e collocamento?

L’affidamento riguarda il potere-dovere di prendere decisioni nell’interesse della prole relativamente a questioni fondamentali ad esempio

  • decisioni relative all’educazione ed istruzione

  • decisioni relative alla religione

  • decisioni relative a questioni di natura medica

Il collocamento riguarda la residenza principale dei minori.

Dal 2006, la Legge prevede che la prassi sia quella dell’affido condiviso, salvo casi particolarmente gravi (incapacità, maltrattamenti, irreperibilità, ecc…).

E' inoltre possibile per i coniugi concordare un collocamento paritario oppure un collocamento prevalente.

Quali sono le possiblità relative al diritto di visita?

Riguardo al diritto di visita, molti genitori scelgono di concordare un diritto di visita “libero”.

Ciò significa che i figli potranno stare con il genitore non collocatario ragionevolmente ogniqualvolta sia possibile.

Solitamente le coppie che intendono rimanere “in buoni rapporti” scelgono questa opzione, per avere maggior flessibilità.

Tuttavia, una problematica di questo approccio riguarda la situazione “patologica” allorquando vi siano dei dissidi tra i genitori: senza un calendario stabilito, la tutela risulta molto più difficile e si rischiano futuri contenziosi.

Un’altra opzione è quella di scegliere un calendario predeterminato che consideri le tempistiche in cui i figli staranno con il genitore non collocatario nel corso della settimana, del mese e dell’anno.

Scioglimento della Coppia di Fatto

I dati ISTAT degli ultimi anni confermano l’aumento di coppie che decidono di optare per una convivenza (ovvero persone che vivono une relazione more uxorio) a discapito delle coppie che, per converso, scelgono di convolare a giuste nozze.

Si ritiene, per la maggior parte degli italiani interpellati sul punto, che la convivenza sia come un matrimonio benchè privo delle formalità e delle conseguenze ad esso legate in caso di scioglimento: è, infatti, errata opinione che ove la convivenza finisce non occorre andare da un legale e avviare una procedura di separazione in quanto è sufficiente che uno dei due lasci la casa e vada a vivere altrove portando con sé i propri beni e i propri effetti personali.

Certamente quando la cessazione della convivenza coinvolge due persone adulte, indipendenti che non hanno stipulato contratti o assunto obbligazioni e/o debiti comuni (solo a titolo esemplificativo (locazioni, mutui, finanziamenti), la separazione può essere rapida e “indolore”.

Viceversa, la questione si complica quando dalla convivenza more uxorio sono nati dei figli: in tal caso occorrerà prendere dei provvedimenti per tutelare i figli con la conseguenza che le parti avranno (almeno come genitori) un legame che durerà in eterno.
Tale esigenza è sorta anche a seguito della importante Legge 219 del 2012 ove, tra le altre cose, si è provveduto ad eliminare ogni differenza tra figli naturali (ovvero quelli nati fuori dal matrimonio) e figli legittimi (nati da coppie coniugate) attribuendo ad entrambi gli stessi diritti e così abbracciando l’assunto secondo il quale i figli sono e restano tali a prescindere da fatto che siano stati concepiti all’interno di un matrimonio oppure nell’ambito di una semplice convivenza.

Come si gestisce la crisi di una coppia non sposata ma con figli minori?

L’ordinamento mette a disposizione della coppia due importanti strumenti, uno di natura stragiudiziale e l’altro di natura giudiziale.

  • La mediazione familiare: estesa dal 2012 ad ogni rapporto familiare, ha lo scopo principale di conciliare le parti. La conciliazione può essere intesa sia come rappacificamento della coppia (con superamento della crisi) sia come supporto alla coppia per intavolare una c.d. “separazione pacifica”. Il mediatore (sia esso terapeuta o legale) riceve la coppia conducendo colloqui separati e congiunti in modo da incentivare il dialogo tra le parti.

  • Il ricorso al Tribunale Ordinario.

La Legge 219/2012 ha introdotto il cd. il “rito partecipativo” per la regolamentazione in giudizio dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle coppie di fatto, conviventi, non sposate. Dopo che il legislatore, nella logica dell’equiparazione dei figli nati da coppie conviventi di fatto a quelli delle coppie sposate, ha spostato la competenza per la materia dal Tribunale per i Minorenni (che oramai ha una competenza residuale) al Tribunale Ordinario (le cui cause vengono trattate dalla Sezione Famiglia), è stato introdotto un procedimento particolare che consente ai genitori alla partecipazione alla formazione del procedimento che regolamenterà i rapporti con i figli.

Il procedimento viene introdotto con ricorso ai sensi degli artt. 316 – 317 bis cod. civ.: segue la desginazione del giudice e l’emissione del decreto di fissazione di udienza con quale si concedono due termini: uno per la parte ricorrente per la notifica del ricorso, ed un altro alla parte resistente per il deposito di una memoria difensiva di costituzione, concedendo sempre ad entrambe le parti il termine per il deposito delle ultime tre dichiarazioni dei redditi.

Il procedimento prevede, quindi, una fase conciliativa innanzi ad un giudice delegato, e solo in caso di fallimento di quest’ultima, una fase contenziosa innanzi al Collegio.

La fase conciliativa o precontenziosa potrebbe, pertanto, concludersi con un accordo dei genitori, che verrà poi recepito dal Collegio, una sorta di omologa, sempre in analogia con quanto avviene nei procedimenti di separazione e divorzio: tale accordo ben potrebbe corrispondere alla proposta del giudice designato oppure in una soluzione totalmente o parzialmente diversa, elaborata dai genitori grazie all’assistenza dei difensori nominati, che certamente possono utilizzare il suggerimento del magistrato al fine di convincere le rispettive parti a confrontarsi sui problemi emersi ed a dialogare come padre e madre.

Se la fase conciliativa non porta a nessuna composizione bonaria, gli atti vengono rimessi al Collegio che provvede alla definizione giudiziale del procedimento, se del caso, previa nuova convocazione dei genitori.

Pacifico che qualora i genitori concordino integralmente sulle condizioni di affidamento e mantenimento, possono presentare al Tribunale ordinario un ricorso congiunto ai sensi dell’art. 316 cod. civ.

E’ chiaro che i figli devono avere la prevalenza su ogni cosa: in questo tipo di ricorso non interessa sapere perché è finita la relazione (se per colpa di un compagno che tradisce o di una compagna che non adempiva ai propri doveri), non interessa regolamentare le questioni economiche tra i coniugi (non v’è la comunione dei beni), non interessa regolamentare la questione della casa (la casa resta al legittimo proprietario indipendentemente da tutto), non interessa sapere se la compagna lavora oppure no (non v’è, invero, un obbligo di assistenza economico verso il compagno o la compagna), in questo procedimento ciò che conta è unicamente la tutela dei figli.

Sono i figli ad aver diritto ad un assegno di mantenimento, sono i figli ad avere diritto di continuare a mantenere il rapporto con il genitore non collocatario, sono i figli ad avere diritto a godere della “unitarietà genitoriale”.

Non si dovrà, pertanto, investigare più di tanto sui motivi che hanno portato alla fine del rapporto (per intenderci sarà importante sapere se una delle due parti sia stata o sia violenta, sia stata o sia dedita all’uso di sostanze stupefacenti, sia stata o sia psicologicamente instabile in quanto questo ci permette di capire se ricorrano o meno i presupposti per un affido esclusivo, ma non sarà importante sapere se una parte ha avuto una relazione “extra convivenza”, con chi e per quanto tempo in considerazione del fatto che, tale risultanza, non incide sulla sua capacità di essere un genitore capace di curare il proprio figlio).

La necessità è dunque quella di tutelare il minore redigendo un accordo o ottenendo una sentenza che stabilisca diritti e doveri di entrambi i genitori nei confronti del figlio:

  • stabilire il tipo di affidamento (se condiviso, paritario o esclusivo);

  • stabilire il collocamento, ovvero la residenza del figlio;

  • stabilire il diritto di visita del genitore non collocatario (calendarizzazione);

  • stabilire il contributo al mantenimento cd. ordinario (oltre alle spese extra come previste dal protocollo di intesa adottato dal Tribunale).

Scioglimenti dell'Unione Civile

Dopo numerosi tentativi di legiferare non andati a buon fine, il Parlamento ha approvato la legge 20 maggio 2016, n. 76, recante “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, destinato a produrre un profondo mutamento nella struttura giuridica delle relazioni familiari, già notevolmente innovata a seguito della riforma della filiazione del 2012/2013.

Le nuove disposizioni, in maniera complementare rispetto a quelle che hanno introdotto lo stato unico di figlio, intervengono sul rapporto di coppia, dando forma, accanto a quello fondato sul matrimonio, a due nuovi tipi legali:

  • l’unione civile (art. 1, commi 1-35, L. n. 76/2016), indirizzata a coppie di persone maggiorenni dello stesso sesso,

  • e le convivenze di persone maggiorenni di diverso o dello stesso sesso, unite stabilmente da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (art. 1, comma 36, L. n. 76/2016).

Costituzione: lo statuto dell’unione civile si discosta notevolmente dalla corrispondente disciplina dettata per il matrimonio, poiché la legge non richiama in alcun modo le disposizioni relative alla promessa di matrimonio, alle pubblicazioni, alle opposizioni e soprattutto alla celebrazione.

L’art. 1, comma 2, dispone, in maniera stringata, che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.

Entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta, l’ufficiale di stato civile è tenuto a verificare l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti, potendo altresì acquisire d’ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l’inesistenza di impedimenti.

Se nella fase “istruttoria” non emergono cause ostative, sì che i richiedenti non vengano avvisati dell’esistenza di impedimenti a procedere – nel qual caso la procedura si arresterà – gli stessi hanno l’onere di comparire innanzi all’ufficiale di stato civile, in un giorno da loro prescelto, entro i centottanta giorni successivi alla scadenza dei trenta giorni previsti per gli accertamenti od alla comunicazione dell’ufficiale di stato civile di aver ultimato prima la fase istruttoria, per rendere personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, la dichiarazione costitutiva dell’unione.

Ricevuta la dichiarazione delle parti, l’ufficiale di stato civile è tenuto a far menzione – come già nel regime transitorio – del contenuto dei commi 11 e 12 dell’art. 1 della legge, compendianti lo statuto dei diritti e doveri nascenti dall’unione medesima: a ciò segue la redazione dell’atto di stato civile, da leggersi agli intervenuti e, quindi, da iscriversi – ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge, come attuato dal D.lgs. n. 5/2017 – nel registro delle unioni civili, che si conferma – come già nel regime transitorio – registro autonomo da quello di matrimonio.

Infine, il comma 9 dell’art. 1 della legge dispone che l’unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell’unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale, della loro residenza, nonché i dati anagrafici e la residenza dei testimoni.

Lo scioglimento dell’unione civile è regolato ai commi 22, 23, 24, 25 e 26 dell’articolo 1 della Legge 76/2016.

Deve distinguersi tra cause automatiche (cioè la morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell’unione), e cause su domanda di una o di entrambe le parti.

Vediamo quali sono:

  • Morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti (comma 22 art. 1);

  • La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso (comma 26 art.1);

  • Casi previsti dall’articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (sono i casi che permettono il divorzio);

  • Quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione.

Sui casi di scioglimento sono necessarie alcune precisazioni.

Il caso n. 2 (sentenza di rettificazione di sesso) provoca lo scioglimento dell’unione civile; tuttavia se la rettificazione anagrafica di sesso sia stata effettuata da un coniuge in costanza di matrimonio, dove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (comma 27 art. 1).

Per quanto riguarda le modalità di scioglimento dell’unione civile, la legge opera una serie di rinvii alle regole previste per il divorzio, per la separazione e relative alla possibilità di sciogliere l’unione senza l’intervento del giudice ( d.l. 132\2014).

Ciò si ricava dal comma 25 dell’art. 1 che così recita:

Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma e dal quinto all’undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-ter, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al titolo II del libro quarto del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162”.

Patti prematrimoniali

I patti prematrimoniali sono accordi stipulati tra i coniugi che hanno la funzione di gestire, in anticipo e consensualmente, i rapporti patrimoniali e personali in vista di una possibile crisi matrimoniale.

Lo scopo è dunque quello di evitare che la regolamentazione dei rapporti avvenga in una fase di crisi del coniugio poichè, in tal caso, sarebbe particolarmente difficile trovare un accordo che sia confecente ad entrambi in presenza di reciproche recriminazioni e critiche.

Nei Paesi a tradizione anglosassone tali tipologie di accordi sono una realtà pressochè consolidata (in particolare, in Inghilterra e in Australia esistono i c.d. prenuptial agreements, finalizzati a regolamentare già prima del matrimonio le eventuali reciproche concessioni che i coniugi si dovranno fare una volta venuta meno l’unione matrimoniale); sono altresì largamente diffusi anche in alcuni ordinamenti Europei (in Germania, ad esempio, esistono i c.d. ehevertrag, nei quali i coniugi possono prendere decisioni comuni in merito alla quantificazione dell’assegno divorzile o alla variazione dell’importo del mantenimento).

Diversamente a quanto sopra, nel nostro ordinamento i coniugi possono sì regolamentare convenzionalmente il loro regime patrimoniale (ai sensi dell’art. 162 del codice civile, ad esempio, è concesso di scegliere tra il regime di comunione o di separazione dei beni e questo può avvenire prima del matrimonio, al momento della celebrazione dello stesso ed anche durante la vita matrimoniale) ma, ad oggi, è nullo qualsivoglia accordo che disponga dei diritti derivanti dal matrimonio: in buona sostanza in Italia è vietato fare accordi prima o durante il matrimonio condizionati ad un futuro divorzio.

Tale illiceità è riscontrabile nel fatto che attraverso questi patti si può impedire la libera disponibilità dello status di coniuge (ad es. con la previsione sanzionatoria – economica in caso di richiesta di divorzio), oppure se stipulati al fine di concordare preventivamente l’ammontare dell’assegno divorzile, rischiano di vanificarne la funzione assistenziale.

Ciò premesso, negli ultimi anni qualcosa è cambiato e nel quadro del mutamento sociale e giuridico è intervenuta la proposta di legge n. 244 presentata in data 23 marzo 2018, ancora in discussione.

Nello specifico trattasi della introduzione dell’articolo 162-bis nel codice civile recante la disciplina del contenuto e della forma degli accordi prematrimoniali, in vista dell’eventuale separazione, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Anzitutto, tali tipologie di accordi devono essere stipulati, a pena di nullità, mediante atto pubblico redatto da un notaio alla presenza di due testimoni, ovvero mediante convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati: tali – alla presenza dei relativi garanti – conferiscono affidabilità e rilevanza alle manifestazioni di volontà espresse dai coniugi.

In ogni caso saranno coperti da invalidità tutti quegli accordi che dovessero concernere lo status di coniuge: si parla, ad esempio, di una clausola del tenore “mi impegno a non divorziare”, oppure che prevedono clausole che fissano la frequenza dei rapporti sessuali, o ancora l’esonero di uno dei coniugi dall’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia o dei figli, o l’autorizzazione in modo reciproco all’infedeltà.

Ne deriva che il contenuto dell’accordo prematrimoniale non può mai scavalcare i principi costituzionalmente garantiti dal nostro ordinamento: non sarà possibile in un patto prematrimoniale, ad esempio, prevedere che il coniuge che versa in condizione di necessità e bisogno rinunci ai c.d. alimenti (ai sensi dell’art. 433 del codice civile) perchè ciò contrasterebbe con l’esigenza di tutela del coniuge economicamente più debole.

Di converso, gli accordi in esame ben potrebbero disciplinare le conseguenze patrimoniali legate allo scioglimento del matrimonio come, ad esempio, le modalità, la quantificazione ed i termini mediante i quali uno dei due dovrebbe provvedere al mantenimento e alle necessità dell’altro; si potrebbe anche prevedere la gestione di altri aspetti legati al nucleo familiare, come la scelta della residenza o l’educazione dei futuri figli (es. la scelta di un tipo di scuola).

Di converso, gli accordi in esame ben potrebbero disciplinare le conseguenze patrimoniali legate allo scioglimento del matrimonio come, ad esempio, le modalità, la quantificazione ed i termini mediante i quali uno dei due dovrebbe provvedere al mantenimento e alle necessità dell’altro; si potrebbe anche prevedere la gestione di altri aspetti legati al nucleo familiare, come la scelta della residenza o l’educazione dei futuri figli (es. la scelta di un tipo di scuola).

Il disegno di legge prevede infine che, nell’ipotesi di coppia con figli minorenni o maggiorenni o non ancora economicamente autosufficienti, sia opportuno prevedere la necessaria autorizzazione del Procuratore della Repubblica che dovrà verificare se l’accordo è conforme all’interesse della prole.

In attesa che tale proposta di legge venga discussa giova evidenziare, sul punto, l’evoluzione giurisprudenziale: si evidenzia una nota decisione risalente al 2012 della Corte di cassazione ove è stata reputata valida una scrittura privata firmata dai nubendi prima di sposarsi e del seguente tenore: “in caso di fallimento del matrimonio (separazione o divorzio) la moglie cederà al marito un immobile di sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, il marito trasferirà alla moglie un titolo BOT di lire 20.000.000”.

Nondimeno, gli Ermellini hanno fatto ancche un ulteriore passo avanti proponendo, per la prima volta, una distinzione tra i due seguenti tipi di intese:

  • Con la citata pronuncia la Suprema Corte ha così finito col riconoscere indirettamente la validità e l’efficacia, in genere, di tutti quegli accordi tra i coniugi che non realizzano possibili arricchimenti o impoverimenti in quanto caratterizzati da una proporzionalità tra prestazioni e controprestazioni. Con il matrimonio questa reciprocità di dare ed avere tra i coniugi, può rimanere quiescente, ma può legittimamente tornare a galla con il fallimento dello stesso matrimonio e con il conseguente venir meno dei diritti e doveri coniugali.

Nondimeno, gli Ermellini hanno fatto ancche un ulteriore passo avanti proponendo, per la prima volta, una distinzione tra i due seguenti tipi di intese:

Scioglimento della comunione legale

La comunione legale dei beni si applica nei rapporti matrimoniali per i quali i coniugi non hanno scelto la separazione dei beni.

Esistono due forme di comunione:

  • la comunione legale;

  • la comunione ordinaria (che non comprende interamente i beni dei coniugi ma alcuni, mentre gli altri rientrano nella separazione dei beni).

I beni che rientrano nella comunione legale ci restano anche quando i coniugi decidono di comune accordo di passare al regime di separazione dei beni.

In passato, prima che la Corte di Cassazione si pronunciasse in merito, se i coniugi si trovavano in regime di comunione legale e adottavano la separazione dei beni, quello che era stato acquisito durante il matrimonio veniva sottoposto alla disciplina della comunione ordinaria; in seguito alla pronuncia in merito della Suprema Corte, la separazione dei beni non trasforma automaticamente il regime di comunione legale in quello di comunione ordinaria.

Non essendo più possibile fare in automatico il passaggio dal regime di comunione legale a quello di comunione ordinaria attraverso la separazione dei beni, i coniugi si dovrebbero mettere d’accordo per togliere i beni sottoposti a comunione legale da questo regime.

In un passaggio della sentenza gli Ermellini sostengono che le regole della comunione legale senza quote restano sino a quando la comunione stessa viene sciolta per le cause delle quali all’articolo 191 c.c., secondo il quale questo avviene per:

  • la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi;

  • l’annullamento, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;

  • la separazione personale;

  • la separazione giudiziale dei beni;

  • il mutamento convenzionale del regime patrimoniale;

  • il fallimento di uno dei coniugi.

La presenza di uno di questi motivi basta per ritenere sciolta la comunione dei beni.

Separazione e divorzio in Comune

La legge n. 162/2014 (all’art. 12) prevede la possibilità per i coniugi di comparire direttamente innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune per concludere un accordo di separazione, di divorzio o di modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio.

Tale modalità semplificata è usufruibile dai coniugi allorquando ricorrano le seguenti condizioni:

  • NON vi siano figli minori o portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti comuni ai coniugi richiedenti (non si non considerano i figli nati da una precedente unione o matrimonio con altra persona);

  • l’accordo NON contenga patti di trasferimento patrimoniale, produttivi di trasferimento patrimoniale;

  • L’accordo può prevedere:

  • 1) l’obbligo di pagare periodicamente una somma di denaro, sia in caso di separazione consensuale (assegno di mantenimento) sia in caso di richiesta congiunta di divorzio (assegno divorzile).

  • 2) la “voltura” del contratto di affitto relativo all’immobile nel quale la coppia viveva durante il matrimonio.

  • 3) NON può invece costituire oggetto di accordo la previsione della corresponsione in unica soluzione dell’assegno periodico di divorzio (c.d. liquidazione una tantum).

  • 4) le parti possono inoltre richiedere, sempre congiuntamente, la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio già stabilite ed in particolare possono chiedere l’attribuzione di un assegno periodico (di separazione o di divorzio) o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa.

  • inoltre è esclusa la competenza dell’Ufficiale di Stato Civile quando i coniugi devono regolamentare l’uso della casa coniugale.

Quale è il comune competente a ricevere l’accordo?

Si può scegluere tra:

  • il comune ove è stato iscritto l’atto di matrimonio (cioè il comune dove è stato celebrato il matrimonio);

  • il comune ove è stato trascritto l’atto di matrimonio celebrato con rito concordatario / religioso o celebrato all’estero;

  • il comune di residenza di uno dei coniugi.

Procedura:

Ognuno dei coniugi, personalmente o assistito da un avvocato, presenta all’ufficiale dello stato civile, il Sindaco o un suo delegato, una dichiarazione che contiene la sua volontà di separarsi oppure di fare cessare gli effetti civili del matrimonio o di ottenerne lo scioglimento, secondo le condizioni concordate.

Allo stesso modo si procede per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Ricevute le dichiarazioni l’ufficiale dello stato civile compila l’atto che contiene l’accordo, lo firma e lo fa firmare alle parti.

Nei casi di separazione o di divorzio l’iter si compone di 2 incontri:

  • Nel primo, l’ufficiale dello stato civile, dopo avere ricevuto le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé, in una successiva data, non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo (la mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo. Si tratta di un diritto di ripensamento dei coniugi che hanno effettuato la dichiarazione di volere divorziare o separarsi. Questo ripensamento non si applica per le dichiarazioni di modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Nel periodo, non inferiore a trenta giorni, tra la data dell’atto e quella fissata per la conferma, l’ufficio dello stato civile può svolgere i controlli sulle dichiarazioni rese dalle parti).

  • Nel secondo incontro, il Sindaco, dopo avere ascoltato le dichiarazioni dei due coniugi o degli ex coniugi, redige l’atto che lo contiene, dando conto, nell’atto stesso, di avere invitato le parti a comparire nella data alle stesse assegnata. Non è necessario che la coppia si presenti in Comune con un documento o un accordo scritto perché lo stesso verrà redatto dall’ufficiale di Stato civile dopo avere ascoltato le dichiarazioni orali delle parti. L’ufficiale dello stato civile, dopo la conferma dell’atto da parte degli interessati, ne deve comunicare l’avvenuta iscrizione nei registri di stato civile alla cancelleria del tribunale presso la quale sia iscritta la causa di separazione o divorzio, oppure quella del giudice davanti al quale furono stabilite le condizioni di divorzio o di separazione oggetto di modifica. L’ufficiale chiede alle parti ogni informazione necessaria per individuare la cancelleria competente a ricevere la comunicazione.

L’accordo viene annotato negli archivi informatici dello stato civile, sull’atto di nascita di ogni coniuge e sull’atto di matrimonio, e la procedura è gratuita.

Il Comune potrebbe chiedere il pagamento dei diritti che non superano l’imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio.

L’accordo che si conclude davanti all’ufficiale di stato civile produce gli stessi effetti di una sentenza del giudice.

Amministrazione di Sostegno

L. 6/2004 – Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché’ relative norme di attuazione, di coordinamento e finali.

L’amministratore di sostegno è una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Gli anziani e i disabili, ma anche gli alcolisti, i tossicodipendenti, le persone detenute, i malati terminali possono ottenere, anche in previsione di una propria eventuale futura incapacità, che il giudice tutelare nomini una persona che abbia cura della loro persona e del loro patrimonio.

Per richiedere l’amministrazione di sostegno si deve presentare un ricorso.

Il ricorso può essere proposto:

  • dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato;

  • dal coniuge;

  • dalla persona stabilmente convivente;

  • dai parenti entro il quarto grado;

  • dagli affini entro il secondo grado;

  • dal tutore o curatore;

  • dal pubblico ministero.

I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, se sono a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero.

Per la presentazione del ricorso non è necessaria l’assistenza di un avvocato.

L’amministratore di sostegno viene nominato con un decreto del giudice tutelare.

Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere l’indicazione: delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno, della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato, dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno, dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.

La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario; mentre non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.


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